MOSTRA CONVEGNO 

OLTRE LE BARRIERE DELLA COMUNICAZIONE 

Cantù 25 Settembre 2010

INDICE ATTI

Dr.ssa Itala Ripamonti, Logopedista e Responsabile del Centro di Cusano Milanino frequentato da alunni disabili anche della provincia di Como. Si tratta di uno dei centri più attrezzati e dove la logoterapia si avvale pure della musicoterapica e della psicomotricità. La sua relazione “Oralismo e inclusione sociale” riguarderà bambini sordi puri, bambini con turbe associate, bambini con intervento tardivo, figli di genitori sordi o di genitori udenti. Il percorso rieducativo si prefigge di accompagnare il bambino e la famiglia sul binario di una crescita graduale fino al raggiungimento della comunicazione verbale.

Dott.ssa Ripamonti Riccardi

Il titolo della mia relazione, “Oralismo e inclusione sociale”, esprime un concetto importante per la nostra cultura. La comunicazione verbale consente nella nostra cultura di interagire con tutti nei più diversi contesti, da quelli più semplici - la spesa, il bar…. - alla interazione con il gruppo di pari, così importante a livello di scuola e, in particolare, durante l'adolescenza, fino ad arrivare a situazioni come queste: convegni, corsi ecc., in cui è necessario integrarsi senza problemi. Il valore del linguaggio verbale, tuttavia, deve essere inteso come un obiettivo da raggiunger nel processo educativo e di crescita dell'individuo.

Quando parliamo di bambini normodotati, con predisposizione linguistiche adeguate e uno sviluppo nella norma, il problema non si pone. Nel giro di due, 3,4 anni questi bambini raggiungono uno sviluppo linguistico che consente di comunicare e interagire in modo efficace con gli altri e apprendere: fattori questi fondamentali per garantire la sopravvivenza autonoma.

Il problema si pone quando ci sono carenze a livello di predisposizione linguistiche oppure ostacoli dovuti a problemi sensoriali o psichici, perché l'accesso alla comunicazione verbale può essere impedito o ostacolato. In questo contesto mi riferisco, in particolare, ai bambini con sordità grave o profonda e ai bambini che, oltre a problemi uditivi, presentano difficoltà specifiche di linguaggio. In quest’ultimo caso l’accesso al linguaggio verbale diventa ancor più problematico.

 

Sia nel caso del bambino sordo puro sia nel caso del bambino con turbe associate, comunque, bisogna, in primo luogo, creare i presupposti allo sviluppo della verbalità. Vale adire: i bambini devono essere stati protesizzati o sottoposti a impianto cocleare, devono avvalersi di un intervento di riabilitazione adeguato, che non includa solo la logopedia ma, possibilmente, anche psicomotricità e musicoterapia. Inserire questi ambiti di trattamento è molto importante in quanto significa farsi carico non solo di stimolare il linguaggio, ma della crescita globale del bambino: non solo una bocca che parla e delle orecchie che sentono. Il linguaggio nasce dal piacere e dalla gioia di interagire. Bisogna, quindi, intervenire anche sulla famiglia e sulla scuola, ovvero sugli ambienti in cui il bambino vive. Ci deve essere una collaborazione tra chi si occupa della riabilitazione e chi vive tutti i giorni con il bambino. Ci sono delle ramificazioni profonde del problema che non possono essere dimenticate, se vogliamo affiancare la crescita di ogni bambino, in modo particolare quelle legate alla sua realtà familiare.

.Le realtà di partenza sono molto diverse. Prima di tutto consideriamo la differenza tra un bambino sordo, figlio di genitori sordi, e un bambino sordo, figlio di genitori udenti. Ma ci possono essere anche bambini, figli di sordi, che vivono in famiglie in cui ci sono molti soggetti sordi, ed altri nelle cui famiglie ci sono, prevalentemente, soggetti udenti. È quindi molto difficile schematizzare i termini del problema.

Ma analizziamo l’evolvere del processo comunicativo in generale.

La prima comunicazione, fondamentale, che costituisce la base di ogni altro tipo di comunicazione, è quella con la mamma, su di essa si andranno a strutturare gli altri tipi di comunicazione. È questa una comunicazione di tipo empatico e non è intenzionale da parte del bambino fin verso ai nove mesi: il neonato piange, perché ha un disagio e la mamma accorre, dando un significato e una risposta al suo pianto. Questa risposta gratifica il piccolo che, via via inizia a produrre con intenzione questi segnali proprio perché sa di ottenere delle risposte: l’attenzione e le cure dell’adulto di riferimento. Tra la mamma e bambino nascono così delle specie di “dialoghi” a cui tutti, forse, abbiamo avuto occasione di assistere, ed è proprio a partire da queste interazioni che si svilupperà il linguaggio. Se pensiamo alle diverse occasioni di scambio in cui viene coinvolto il lattante ci rendiamo conto che si tratta sempre di “dialoghi”. Ad esempio:

- il bambino succhia al seno e, a tratti, si ferma e guarda la madre, la mamma gli dice qualcosa, il bambino riprende a succhiare

- la mamma parla, il bambino inizia a vocalizzare, la mamma tace, il bambino smette il vocalizzo la mamma riprende a parlargli….

- la mamma segue lo sguardo del bambino oppure il suo gesto e condivide con lui un oggetto o una situazione che lo interessano e viceversa

- il bambino, protende un oggetto verso l'adulto per attirarne l’attenzione sullo stesso o per ottenere informazioni sullo stesso…..

Sono tutti “dialoghi” tra la mamma e il bambino.

Tutti i bambini, prima di arrivare alla comunicazione di tipo simbolico, utilizzano gesti che seguono un percorso tipico. Fino ai 13 mesi compaiono solo gesti comunicativi intenzionali. Sono gesti che si riferiscono al contesto e esprimono una intenzione comunicativa, ovvero quello che il bambino vuole comunicare. Le intenzioni comunicative del bambino a questa età sono di due tipi: la richiesta, la denominazione o dichiarazione.

Per quanto concerne la richiesta, questa segue un rituale, ad esempio guardare l'adulto, aprire e chiudere la manina. Significa che il bambino considera l'adulto come uno strumento che può rendergli accessibile l'oggetto del suo desiderio.

La denominazione o dichiarazione consiste nel dare o indicare. In questo caso il bambino pensa che l'adulto sia dotato di intenzioni, così come lo è lui, e cerca di influenzarne lo stato intero.

Non so se conoscete, la teoria della mente, secondo la quale noi pensiamo che gli altri abbiano intenzioni ed emozioni come le abbiamo noi e, quindi, che possiamo prevederle o immaginarle. Questo concetto è stato rivisto con la scoperta delle “cellule specchio”, scoperta importante per quanto concerne l'acquisizione del linguaggio. Detto in termini molto semplici e poveri: secondo questa scoperta noi mettiamo in moto delle cellule nervose deputate al movimento non solo quando facciamo qualcosa, ma anche quando vediamo qualcuno che fa qualcosa. Ecco il valore dell'imitazione. Anche se il bambino non ripete immediatamente, il gesto (la parola) che noi gli proponiamo le sue cellule imparano, comunque, qualcosa.

Un altro elemento della comunicazione, a questa età, è il referente della stessa. In questo senso è importante il contesto in cui avviene la comunicazione. Forse avrete notato che i bambini piccoli spesso tendono l'oggetto, ma, se voi lo volete prendere, loro lo ritirano. Infatti non è loro intenzione dare l'oggetto, ma solo mostrarlo, condividerlo.

Dagli otto ai 13 mesi, è importante che compaia il gesto di indicazione che può essere utilizzato dal bambino sia con intenzione richiestiva che dichiarativa. È una tappa importante per lo sviluppo simbolico correlato all'acquisizione del linguaggio.

Dai 12 mesi in poi appaiono i gesti comunicativi intenzionali referenziali: un simbolo verbale sta al posto di un oggetto concreto e reale. Questi gesti nascono all'interno di situazioni comunicative, ad esempio i giochi, sono gesti che rimangono per un certo periodo legati a un contesto, successivamente vengono generalizzati. Ad esempio la parola “ciao” viene utilizzata prima sempre nello stesso contesto e con lo stesso significato, poi in contesti differenti: perché qualcuno esce, qualcosa viene nascosto, perché qualcosa non si trova più ecc,

Altri gesti nascono a livello fisico, ad esempio, il gesto di bere (portare la mano alla bocca), il gesto di telefonare (portare la mano all’orecchio). Sono gesti che imitano l'azione e non la forma degli oggetti.

Tra la comunicazione gestuale e il linguaggio verbale c'è continuità, ma fino ai 16 mesi le due cose sono equiparate.

Lo stesso processo che abbiamo visto per l’evoluzione dei gesti avviene per le parole. Prima sono legate a un contesto poi vengono generalizzate.

Questo passaggio è favorito dalla maturazione a livello cognitivo, che costituisce il sesto e ultimo stadio di Piaget, ovvero il periodo in cui il bambino raggiunge la capacità di rappresentare le cose.

Questa lunga premessa è servita per sottolineare la necessità di rispettare, sempre e comunque, il bisogno del bambino di comunicare con la propria mamma. Se i genitori sono segnanti, il bambino potrà apprendere sia la lingua dei segni (attraverso i genitori) sia il linguaggio verbale, sempre che sia esposto a sufficienza ad esso. Tre o quattro sedute di riabilitazione non sono certo sufficienti ad attivare una comunicazione verbale. Potrà quindi esser utile l’intervento dell’Assistente alla Comunicazione, l’inserimento al Nido o alla Scuola Materna con bambini udenti.

Un bambino piccolissimo, inoltre, non ci dice quanto e quando sente. Ci vuole una grande attenzione da parte degli adulti che lo seguono e una sollecitazione costante all'ascolto e all'uso della oralità. La riabilitazione deve essere fatta in un ambito affettivo e gratificante per il bambino.

Per quanto riguarda i bambini sordi figli di udenti o di sordi che usano il linguaggio verbale, il problema della lingua dei segni non sussiste. È opportuno avviarli subito all’oralità, perché è la forma di comunicazione utilizzata da coloro che gli stanno intorno. Questo sarà il mezzo che permetterà loro di inserirsi senza fatica nel mondo della scuola, del lavoro e nei diversi ambiti sociali.

Bisogna, comunque, tenere presente che non tutti i bambini traggono vantaggio a sufficienza dalla riabilitazione o dell'impianto. Questo può avvenire per vari motivi. Ci sono bambini che presentano turbe associate o un livello intellettivo non sufficiente, o altri problemi, ci sono bambini con sordità centrale o con turbe psichiche.

Alcuni bambini arrivano al nostro Centro dopo i 4, 5 anni senza aver acquisito alcuna forma di linguaggio strutturata, né verbale ne gestuale. In questi casi è importante affiancare la lingua dei segni alla comunicazione verbale. La LIS permetterà loro di procedere comunque nell'apprendimento. Altrimenti il bambino rischia di essere penalizzato nell'apprendimento. Meglio comunicare con un numero limitato di persone piuttosto che non comunicare con nessuno.

Se non ci sono ostacoli, non ho dubbi, il metodo migliore è l'oralità. Ma ci sono varie strade per arrivarci. Non dobbiamo demonizzare nulla. Tutto va utilizzato nell'interesse del bambino. Io sono una oralista convinta. Non conosco la lingua dei segni. Ho però molta esperienza con i bambini sordi, quindi sono convinta che non bisogna ragionare con pregiudizi, ma valutare di volta in volta. Ci sono situazioni che, all'inizio, sembrano adeguate, e che, successivamente, hanno richiesto interventi diversi. Ci sono bambini, con interventi protesici adeguati, che a 4, 5 anni, hanno ancora una verbalità limitata. A quel punto bisogna riflettere con i genitori e il valutare se introdurre anche una modalità gestuale. I genitori devono decidere. Noi possiamo portare la nostra esperienza, ma non dobbiamo imporre.

Il punto di arrivo è senza dubbio l'oralità sia a livello di comprensione sia di produzione, perché ci consente di interagire con i nostri pari. Ma è indispensabile che la prima interazione avvenga nel gruppo familiare. Dobbiamo tenere presente che la condizione primaria per sopravvivere nella nostra società è comunicare. Se non comunichiamo non siamo autonomi. Per questo è opportuno, in alcuni casi, avvalersi di forme alternative alla comunicazione verbale, se questa è ostacolata dalle difficoltà del bambino. Bisogna abbattere barriere e pregiudizi: non sono importanti tanto le convinzioni del logopedista quanto gli interessi del bambino.

Abbiamo avuto alcune esperienze in cui abbiamo avviato il bambino al linguaggio verbale ma, ad un certo punto, abbiamo ritenuto opportuno affiancarlo con una interprete della lingua dei segni (magari l'Assistente alla Comunicazione). Tuttavia non abbiamo mai smesso di stimolare l'oralità. Con nostra grande sorpresa, ad una certa età, intorno all'adolescenza, si è sviluppato molto anche il linguaggio verbale. Grazie anche al fato che, a quell'età, i ragazzi hanno voglia di confrontarsi con i compagni, di inserirsi nel gruppo, e quindi si sentono stimolati ad usare la verbalità.

A noi spetta di dargli, comunque, gli strumenti per soddisfare la motivazione alla comunicazione verbale che gli consente una soddisfacente inclusione sociale.

 

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