MOSTRA CONVEGNO 

OLTRE LE BARRIERE DELLA COMUNICAZIONE 

Cantù 25 Settembre 2010

RELAZIONE

Irene Buzzi Menegoi - Buongiorno a tutti e grazie. Vi chiedo un po' di pazienza ma temo che, data l'ora, non riuscirò a svolgere tutti gli argomenti che mi ero prefissa, ma ci terrei a mettere in luce la figura dell'educatore con funzioni di assistenza alla comunicazione, che si sta affermando sempre di più e che sta diventando una figura importante nella rete sia all’interno della scuola per l'integrazione del bambino sordo tra il team dei docenti, ma anche nei rapporti con la famiglia e i servizi di riabilitazione.

L'associazione Aforisma su incarico della Provincia di Milano tra il 2005 - 2010 ha condotto una sperimentazione con un piano di monitoraggio e di formazione degli assistenti alla comunicazione che operano in alcuni territori della provincia. Questa e' stata una esperienza per me molto interessante perché mi ha fatto toccare con mano la realtà di operatori in questo tipo di lavoro. Il loro lavoro e' veramente complesso.. L’analisi della situazione che avevamo rilevato all'inizio per costruire il progetto, aveva evidenziato almeno tre macrodebolezze del sistema:

  • una riguardava i problemi sociali, psicologici, economici delle famiglie che incontravano difficoltà ad integrare gli interventi del riabilitatore con quelli peculiari della scuola per aiutare i propri figli. Le risorse economiche concesse alle famiglie da parte della Provincia necessitavano di una revisione.

  • all'interno della scuola. i docenti curricolari si dichiaravano poco preparati ad affrontare i problemi posti dal deficit sensoriale

  • i docenti incaricati per l’attività di sostegno non sempre avevano una specializzazione o una competenza specifica sul piano della sordità. Voi sapete che circa il 50% degli insegnanti di sostegno in Italia non ha titolo di specializzazione.

Tramite il progetto di sperimentazione si e' mirato alla preparazione del personale assistente offrendo formazione ma soprattutto contando sulla stabilità di rapporto all'interno della scuola come figura riconosciuta, perché la Provincia aveva fatto un precedente accordo con i Comuni coinvolti affinché utilizzassero le loro cooperative per l’assunzione, purtroppo temporanea, ma era sempre comunque una figura riconosciuta. Possiamo dire che di questa attività sperimentale che si e' svolta in questi ultimi anni abbiamo tratto alcune riflessioni all'interno dell'associazione Aforisma. Abbiamo costituito un gruppo di lavoro che è composto da Anna Fumagalli, che sicuramente molti di voi conoscono perché ne hanno sperimentato la competenza sul campo, poiché è stata attiva in questo territorio, da Cristina Casaschi, formatrice ed esperta ANSAS- Lombardia (ex IRRE) e dalla sottoscritta. Ne e' emersa una istanza condivisa che vogliamo proporre a chi e' interessato alle problematiche dell'assistenza alla comunicazione. Il mio intervento attuale riprende le piste di questa riflessione comune che abbiamo proposto in un incontro pubblico all'interno di un Seminario organizzato dalla Associazione Aforisma presso l'Istituto Zappa di Milano, con il patrocinio della Provincia e dell'ANSAS-Lombardia.

Il nostro lavoro ha considerato tre aspetti:

  • uno e' il contesto attuale in cui si svolge il lavoro del servizio di assistenza alla comunicazione,

  • la necessità di prestare attenzione all'organizzazione e sui percorsi di progettazione che dovrebbero essere previsti

  • e infine linee guida per un piano di formazione.

Cercherò di sviluppare prevalentemente la parte che riguarda il contesto perché' vorrei che fosse a tutti chiaro come questa figura e' nata nel tempo, si e' strutturata, e' richiesta, agisce, ma non ha ancora un considerevole riconoscimento formale del suo lavoro. Per quanto riguarda l’ attività di assistenza comunicativa si può fare risalire agli anni ‘70 il percorso di legittimazione istituzionale perché a quell'epoca e' iniziato ad affermarsi il principio dell’inserimento e il trasferimento dalle scuole speciali alle scuole comuni degli alunni disabili con riferimento alla legge n.181 del 1971; tra i disabili ovviamente anche i bambini sordi.

Furono introdotte innovazioni anche nell'organizzazione e nella programmazione scolastica attraverso forme particolari di sostegno che erano previste da un'altra legge, la n.517, che sicuramente il mondo della scuola conosce molto bene, che e' del 1977. Questa legge poneva l'accento sugli strumenti, sui metodi, sulle risorse alternative a un modello tradizionale pedagogico superato e soprattutto portava l'accento sulle finalità dell'integrazione. In seguito tali finalità saranno poste in forma determinante nella legge 104 che e' del 1992. Nella scuola si fecero strada le cosiddette “attività integrative” che permettono di utilizzare anche persone esterne al personale docente individuate da gruppi di programmazione che comprendono anche i genitori. Ricordo volentieri una circolare ministeriale che e' la 199/79 perché la considero un documento pedagogico più che un dettato normativo; in essa si sollecita la formazione di gruppi di programmazione con la presenza dei genitori anche per l’utilizzo delle risorse assegnate dagli Enti Locali. In seguito il livello di programmazione interistituzionale con la legge n.328/2000 sarà meglio definito e codificato rivolgendolo a tutti gli organismi territoriali.

Concordo con chi afferma che abbiamo buone leggi che ci sostengono per operare un modo diverso nella scuola, con motivazioni riconosciute.

La scuola Giulio Tarra già nel 1970 fu al centro di questo graduale processo di integrazione, con graduale trasferimento degli alunni sordi dalla scuola speciale alla scuola normale, sollecitando la frequenza delle classi vicine all'ambiente di vita dell’alunno nelle scuole del suo quartiere.

Allora potevano essere considerate “classi aperte” per la collaborazione che si sviluppava tra gli insegnanti della scuola speciale e le scuole di accoglienza. Il progetto inizialmente era sostenuto da un accordo con il Provveditore agli Studi, ma presto divenne prassi istituzionalmente riconosciuta. Il direttore, che a quell’epoca era il dottor G.Roda, si rivolse alla Amministrazione Provinciale per chiedere che i fondi a disposizione delle famiglie fossero indirizzati in un'ottica di integrazione e quindi permettessero di sostenere i ragazzi inseriti anche in tempi pomeridiani, come attività di supporto allo studio: nasce così' il servizio di assistenza alla comunicazione. Questo fa comprendere perché l’attribuzione del servizio sia di competenza dei Servizi Sociali, questi ultimi avevano i fondi la cui istituzione risaliva al 1934 per la loro destinazione d’uso ed erano erogati alle famiglie per le necessità dei disabili sensoriali, sordi e ciechi.

In questo nuovo assetto ebbe anche un ruolo la Scuola per la Formazione degli ortofonisti istituita dal Policlinico. In questa occasione il Policlinico colse la stessa opportunità, se ben ricordo (all'epoca avevamo contatti frequenti), per favorire il tirocinio degli ortofonisti e per segnalare figure, reperite per altri canali, con il compito di garantire una continuità degli interventi riabilitativi in ambito domiciliare.

Questi diversi contributi furono decisivi perché hanno caratterizzato proprio negli anni 70, all'interno della provincia milanese, l'opzione oralista come scelta privilegiata per l'educazione e il recupero ortofonico dei ragazzi sordi in età evolutiva. La figura dell'educatore che chiamerò d’ora in poi assistente alla comunicazione, ha assunto nel tempo caratteristiche molto diversificate, con forme non univoche di utilizzo a seconda dei compiti che venivano assegnati a questo operatore e ciò ha indotto un proliferare di profili diversi. All'origine della richiesta, in relazione alla storia diagnostica e familiare, si pone una distinzione tra l'opzione esclusivamente oralista e la scelta di una educazione precoce con la lingua dei segni.

Attualmente, come allora, qualunque sia stata la scelta della famiglia si pone il problema della preparazione di questi educatori. Non e' questo l'ambito di discussione sulle motivazioni che indussero a una scelta e che tuttora inducono all'una o l'altra opzione, poiché a seconda dei contenuti istituzionali o territoriali nei quali venivano richiesti, gli educatori con funzione di assistenza alla comunicazione hanno assunto nel tempo caratteristiche molto diverse.

Occorre però riconoscere che il contributo di questa figura, pur nelle diverse accezioni del loro reperimento, della loro formazione, del tempo a disposizione, senza garanzia di continuità, è stato rilevante. Lo voglio sottolineare perché occorre tenere conto delle difficoltà che questi operatori hanno sempre incontrato, nei rapporti molto eterogenei tra loro con le figure a cui facevano riferimento, in una rete relazionale con problemi non indifferenti poiché avevano contatto con i bambini, con gli adulti familiari, con gli specialisti, con gli insegnanti. L’assistente alla comunicazione è sempre stata una figura richiesta ma non ufficialmente riconosciuta, soffrendo di una grande debolezza insita in questa figura come ruolo, ma di grande importanza come funzione soprattutto là dove si sono stabilite presenze stabili, continuative. L'assenza di chiarezza dei compiti che sono stati definiti genericamente "assistenza alla comunicazione" ha reso difficile l'identificazione e l'articolazione di questo ruolo: ne consegue che chi opera direttamente in questo campo, si rende conto che molto spesso le definizioni elencano “ciò che lui non è” e “ciò che non fa” ma potrebbero dire “chi è” e “che cosa fa”.

Andando a individuare le forme di utilizzo di questa figura possiamo evidenziare che le differenze sono legate alle attese che si hanno nei suoi confronti, attese che sono espresse dalla famiglia, che sono espresse dalla scuola, che sono espresse dai servizi riabilitativi.

Le richieste sono molteplici; hanno spesso obiettivi diversi perché manca un inquadramento condiviso dei reali bisogni di ogni singolo soggetto, sia in termini psicopedagogici che nelle scelte riabilitative (oralismo, bilinguismo, LIS, etc.) che orientano i progetti di vita che devono essere calibrati sul singolo soggetto per una reale integrazione. Ogni soggetto e' diverso dall'altro e quindi ha bisogno di una attenzione particolare, individuale, calibrata su di lui, non su uno standard uguale per tutti.

Anche le forme di inquadramento lavorativo sono differenti, da territorio a territorio, e risultano definite dai rapporti inter-istituzionali: ci sono realtà felici in cui sono state stabilite, tramite accordi di programma, delle intese che sono, tra l’altro, sollecitate dalla normativa. I contratti vengono stabiliti generalmente da un rapporto diretto (per esempio nel Comune di Milano e' ancora molto estesa questa prassi). Tra le famiglie e la Provincia con l'attribuzione di contributi economici (vouchers) oppure tramite convenzioni tra le Province e le cooperative, e questo è già un passo avanti, oppure con altre modalità di intesa tra enti territoriali.

Voglio ricordare che e' stato presentato al nostro convegno, svoltosi il 5 giugno, un documento stilato nel territorio di Vimercate, uno dei territori in cui abbiamo operato. Con tale documento è stata costruita una intesa molto articolata e interessante che potreste anche trovare su internet. In questa intesa tra gli enti territoriali, viene definita proprio la prassi con cui si accoglie e viene utilizzata questa figura all'interno di ciascuna zona; qualunque sia la committenza, e' necessaria una regolamentazione per questo servizio su valutazioni che siano di professionalità, di efficienza organizzativa, di monitoraggio e di verifica di criteri adottati per il singolo utente. Si evidenziano le prassi partecipative dell'assistente alla comunicazione nelle realtà in cui si sviluppano e si situano; per esempio in rapporto alla scuola e in rapporto alla famiglia. Allora: in rapporto alla scuola, per questa figura ponte, estremamente importante perché agisce sia all'interno della scuola che all'interno della famiglia e con i centri riabilitativi, abbiamo una varietà di attese nei suoi confronti. Potrei citare i risultati di indagini che abbiamo fatto all'inizio e alla fine della nostra attività di sperimentazione, ma possiamo sintetizzarla in questo elenco.

Nella scuola

  • si chiede all’assistente alla comunicazione di supplire alla carenza di insegnanti di sostegno per assumersi funzioni analoghe all’ insegnante specializzato,

  • oppure in assenza di competenze in merito alla disabilità uditiva da parte dei docenti viene considerato l'esperto di mediazione sulle problematiche poste dalla sordità

  • in presenza di sordi segnanti, che conoscono quindi la LIS, (e se l'assistente conosce la LIS) gli /le si chiede di assumersi l'incarico di fare l'interprete.

  • ci sono, poi, fortunatamente delle esperienze bellissime di buone pratiche nelle quali l’assistente e' coinvolto ed estremamente corresponsabilizzato nella programmazione e nella individuazione dei compiti che si intersecano e che si inglobano gli uni con gli altri.

Anche nella famiglia le prassi partecipative sono estremamente diverse:

  • nei casi di buona collaborazione l’assistente alla comunicazione e' direttamente coinvolto come figura di riferimento esterno nello sviluppo del senso di sé del bambino, della sua autonomia, del suo percorso, della sua comunicazione, sia nel tempo libero che nell'uso dei mezzi, etc.: c'è, quindi, una intesa con esperienze molto positive in tal senso.

  • in accordo con i centri di riabilitazione affianca la famiglia in compiti riabilitativi, in questo caso c'è il rischio di una delega e di una responsabilità inappropriata; comunque questo varia da situazione a situazione: sarà una attenzione da sviluppare all'interno dei centri.

  • talvolta e' stato utilizzato pure come baby-sitter e in alcuni casi mandati a fare la spesa (però questi sono casi limite!).

La complessità dei contesti e delle problematiche richiede percorsi di progettazione che presuppongono momenti di presa in carico, attivazione, verifica del servizio e a questo proposito e' necessario fare riferimento e dare seguito alle istanze che ha promosso la legge n.104/92, è la nostra legge quadro che ha raccolto tutte le istanze sulla disabilità da 0 anni fino all'inserimento nel lavoro e dà indicazioni molto chiare, per la partecipazione a un progetto comune di tutti i componenti (questo è il punto critico) perché deve essere coinvolta la sanità, la famiglia, i servizi sociali e la scuola.

Alla luce dell'esperienza che abbiamo condotto in questi ultimi anni per la formazione e il monitoraggio degli assistenti alla comunicazione nella Provincia di Milano, abbiamo condotto come AFORISMA grazie al supporto sia dell'Amministrazione Provinciale che dell'Università Cattolica che ci ha aperto le porte, una formazione congiunta di assistenti e docenti e pensiamo di potere trarre una proposta, quindi, per delineare un profilo di questa figura che è ritenuta indispensabile nel quadro del progetto di integrazione che vogliamo realizzare. Al termine di questa esperienza è emersa l'esigenza di evidenziare il sistema dei rapporti in cui l'operatore si trova inserito per meglio costruire la sua professionalità e di conseguenza le competenze che sono richieste. Il nostro gruppo di lavoro ha rilevato alcuni punti di attenzione per una rinnovata riorganizzazione e ricontestualizzazione del servizio di assistenza e ha individuato tre principali accezioni, che Anna Fumagalli si è fatta carico di articolare nei dettagli. Io riporto soltanto alcuni punti della nostra discussione e dei nostri accordi. La definizione, per esempio, delle attività proprie dell’assistenza alla comunicazione ai sordi, è aperta. Nella prassi le attività si articolano nelle forme di assistenza alla comunicazione ovvero di assistenza per la comunicazione, aspetti correlati all'azione pedagogica ma che occorre concettualmente tenerli presenti sul piano della finalizzazione degli interventi e nella determinazione degli obiettivi. Per esempio l'attività di mediazione in contesti comunicativi sfavorevoli per il sordo, la presenza dell'assistente alla comunicazione garantisce l'affiancamento del sordo nei compiti di ascolto e di comprensione del messaggio verbale, prendendo appunti, oppure traducendo in LIS, il corso, la lezione, la conferenza, modi di assistenza che si concretizzano poi in materiali, procedure, strategie di facilitazione e di semplificazione nell'accesso ai materiali linguistici. Ma vi sono anche attività finalizzate allo sviluppo della autonomia comunicativa, è un'area più estesa della precedente e rappresenta l'assistenza comunicativa come risorsa integrante nell'impianto e nella pianificazione dei programmi abilitanti/educativi/e formativi.

 

Un altro aspetto individuato è il servizio di assistenza comunicativa nella prospettiva dell'integrazione della disabilità a favore dell'inclusione e rappresenta una risorsa nella costituzione di piani individuali di intervento socio-sanitario-educativo previsti dalla normativa. Piani che per definizione devono essere progettualmente condivisi da tutte le componenti(vedi le leggi n.104 /92 e n.328 /2000).

L'assistenza comunicativa prende forma strada facendo, sulla base di istanze emergenti nei contesti e consuetudini radicate. Essa vede a fianco della famiglia, specialisti dell’area clinica o riabilitativa, educatori e docenti, psicologici e pedagogisti: figure che portano nel contesto conoscenze e logiche che faticano a incontrarsi. Per contro si segnalano esempi più o meno consolidati nel corso di questo decennio che vedono istituzioni e enti impegnati seriamente in una fase di regolazione del processo di integrazione, delle risorse, attraverso accordi di programma e attraverso convenzioni. Ci sono queste realtà, facciamole emergere, utilizziamole come esempio per la stabilizzazione di protocolli operativi, la promozione delle forme di partecipazione, la costante azione di monitoraggio della qualità del servizio, nonché iniziative di formazione iniziale ma anche in servizio. Con importanti differenze di impianto e di procedura da territorio a territorio si vanno affermando pratiche di raccordo e di integrazione delle competenze onde evitare un frazionamento delle funzioni che sezionano il bambino secondo gli interventi che le singole istituzioni operano su di lui, giungendo spesso alla deresponsabilizzazione nei riguardi del suo recupero globale. La progettazione degli interventi di assistenza comunicativa si sviluppa dalla intersezione di diverse professionalità impegnando tutti i referenti ad allargare lo spazio di analisi e di assunzione del caso oltre i parametri specifici della singola professionalità.

Nella logica, invece, della ricerca-azione, come ulteriore punto di approfondimento, ci sembra importante evidenziare aree di impegno e di responsabilità professionale su cui vanno a convergere differenti sistemi di competenze. Dato il tempo accelero su questo aspetto.

Mi interessa evidenziare come almeno nel processo di integrazioni e dei punti di vista sul lungo periodo in termini di costruzione della condivisione e della corresponsabilità, assumono un ruolo sempre più importante due figure: una è l'assistente sociale, non pensiamo all'assistente sociale con cui abbiamo avuto contatto, che e' stata nominata di recente che deve agire con più comuni e non riesce a mantenersi stabile in una sede, pensiamo alla figura e ruolo di questa assistente sociale: come punto referente per la presa in carico dei bisogni del sordo e della sua famiglia, attivazione delle reti di competenza, come punto di ascolto dei problemi, memoria delle vicende - elaborazioni delle attese.

L’altra figura che emerge sempre di più e che necessita di una presa di coscienza per il suo profilo di formazione è proprio l’assistente alla comunicazione; perché è un facilitatore dell’incontro tra istanze educative espresse dalla famiglia, dalla scuola,dagli specialisti ed è quello/a che promuove, non crea, ma favorisce, è il “ponte” per costruire una sintesi pedagogica in ragione del recupero del soggetto ed è testimone e memoria (se la continuità è garantita) delle manifestazioni del soggetto sordo, là dove solo una osservazione attenta e metodologicamente rigorosa rappresenti lo strumento di interpretazione dei suoi bisogni.

Mi rendo conto il mio tempo è scaduto, ma tutto quanto è stato detto e ancor meglio va delineato è il piano di formazione di questo educatore. Quali sono i punti? Li sintetizzo in tre direzioni come Cristina Casaschi li ha articolati nel gruppo di lavoro:

  • l’assistente alla comunicazione riveste un ruolo specifico che tuttavia riguarda una dimensione pervasiva dell’esperienza umana: la comunicazione. Come avete sentito dalle relazioni precedenti, la sfera delle comunicazioni investe campi verbali, iconici, tattili, simbolici etc., ma introducono l'alunno-adolescente alla realtà attraverso uno strumento privilegiato che e' quello dell'incontro con gli altri.

  • Il ruolo dell’assistente alla comunicazione, sostiene Cristina, è una funzione vicaria che deve esprimere il bambino o non essere sostitutiva, ingerente, sovrabbondante nei confronti delle altre figure.

  • E’ estremamente importante che il suo ruolo si concretizzi nella partecipazione e costruzione del progetto personalizzato condiviso con le altre figure.

 

Insisto su questa comunione, confronto e corresponsabilità. Anche attraverso la trasmissione delle conoscenze ha bisogno di avere competenze specifiche, chiaramente, sulla tematica, sia sul piano specialistico che sul piano pedagogico.

La sua formazione è necessariamente rivolta anche alle capacità che deve costruirsi perché i suoi rapporti molteplici con tutte le figure, con tutti i ruoli, con tutti i referenti, richiede una capacità relazionale e va coltivata: una formazione quindi che non può essere solo iniziale ma necessariamente deve essere continua, in itinere con il valore aggiunto del meta riflessione e del confronto della esperienza agita.

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